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Vie e Multipitch : Alpi Apuane Monte Croce E se fossero stati gli alieni
Inviato da tc il 18/9/2020 07:24:24 (2485 letture)


 [VIE LUNGHE] Alpi Apuane - Monte Croce - Avancorpo Ovest - Via "E se fossero stati gli Alieni"
  
C'ho messo un po' a pubblicare questa relazione, ne ho altre nel cassetto (e spero, tempo permettendo di inserirle tutte a breve giro sul nostro vecchiotto  ma inossidabile toscoCLIMB). Dicevo che c'ho messo un po' a pubblicare questa relazione perché, come sempre, non faccio un copia-incolla, butto lì sul web e chi s'è visto s'è visto! Oggi metto online questa lunga relazione lasciandovi a riflettere sulle frasi che "il Benassi" scrive in fondo alle storielle apuane. Avevo iniziato a scrivere le mie riflessioni che stavano diventando un po' troppo lunghe e mi sono fermato (prometto che ci faccio un articolo sopra, sulle riflessioni). Nel frattempo leggete, e se potete andate a ripetere questa via, sicuramente non vedrete Alieni ma probabilmente li "troverete nei cunicoli della vostra mente" (cit.). E se fossero stati gli Alieni,  di ... Alberto Benassi. (continua su ROCKDOCG >> (TL)


 Alpi Apuane - Monte Croce - Avancorpo Ovest
Via E se fossero stati gli Alieni


di Alberto Benassi, Alessandro Rossi
dopo tentativi di ottobre 2019

INTRODUZIONE E STORIELLE APUANE ...
   Il monte Croce docile cima delle Apuane meridionali, è conosciuto come la montagna delle giunchiglie, ogni anno a maggio, una bellissima fioritura ne ricopre gli erbosi fianchi sommitali. Soprattutto in questo periodo, la sua cima, è molto frequentata da gruppi più o meno numerosi di persone, che vi salgono per ammirare le migliaia di fiori che formano un bellissimo tappeto bianco su un mare verde, vero e proprio spettacolo della natura apuana. L'incontro delle sue creste, a formare una croce, sembra sia l'origine del nome di questo monte, che, se osservato dai versanti meridionale e orientale, ha la forma di grosso ed erboso collinone, che ricorda più il vicino dolce Appennino che le aspre e ardite Apuane. Grazie a queste caratteristiche, ha da sempre attirato più l'escursionista che l'arrampicatore, in verità   il versante nord, ma soprattutto quello ovest, sono assai dirupati in quanto la montagna “si appoggia su un zoccolo calcareo” (1) che fa mostra di se con belle strutture rocciose. Il triangolare versante nord è breve, ma molto scosceso, con rocce frammiste ad erba, con alla base alcuni pilastri di bell'aspetto separati da canali, mentre quello ovest decisamente più interessante per l'arrampicatore, presenta una bella ed estesa parete che forma un verticale avancorpo roccioso dove, da tempo, mi girava per la testa l'idea di aprirvi una nuova via. Questa parete compresa tra la Foce delle Porchette a destra e la Foce di Petrosciana a sinistra, più estesa in orizzontale che in verticale, ha una conformazione piuttosto compatta, segno che non sarà facile salirla. Rispetto alle cime circostanti del Forato, Nona e Procinto, l'avancorpo ovest del monte Croce, non ha una prolifica storia alpinistica, infatti presenta solamente tre itinerari di salita, poco o nulla ripetuti, aperti negli anni  a cavallo tra il 1980 e il 2000:

- una misteriosa via Piotti che, finalmente, dopo serrate indagini e la gentilezza di Umberto Vecci e Francesco Cantini, ne abbiamo svelato l'arcano. Aprile 1981 divisi in due cordate: la prima con il compito di aprire la via composta dai pisani Mario Piotti (Piotti in verità era genovese e pisano di adozione), Francesco Cantini e Roberto Di Stefano; la seconda a seguire  dei lucchesi Umberto Vecci e Domenico Dinelli con il compito di sistemare la chiodatura.  Via di stampo classico che supera l'evidente grosso diedro molto aperto nel settore destro, alla quale sembra non sia stato dato un nome nè fatta una relazione;
- sempre nei pressi del grosso diedro, l’ 11/5/1997 i fiorentini  Leonardo Piccini e Juliane Schmidtlein, dopo un primo tentativo con altri, realizzano la via “Chiodo Fisso” in modo tradizionale con qualche spit alle soste, senza trovare tracce di passaggio;
- nel maggio del 1998 più a destra sul compatto placcone (“il mare”)  i locali Alessandro Bertagna e Giuliano Batini  aprono con spit sui tiri e alle soste  la via “Dù punti nel mare”.

Oltre a questi tre itinerari, sulla parete negli anni 90 ci sono stati anche alcuni tentativi: uno di versiliesi Fabrizio Convalle e Barbara Bardi, l'altro dei lucchesi Mauro Giambastiani (il Dondi) e Daniele Carboni del 1994 (forse 95), il terzo ancora di Leonardo Piccini. I primi due nel settore destro verso la Foce delle  Porchette, il terzo più a sinistra  verso la Foce di Petrosciana.    In verità di tentativi ce ne è stato anche un quarto, ma questo ve lo racconterò  più avanti. E' quindi una parete un po' dimenticata, caratteristica che già da sola è sufficiente per stimolare la curiosità dell' apritore sempre alla ricerca di terreno vergine da esplorare. Strano però, perché la parete, anche se in mezzo a cime alpinisticamente più conosciute, quali il monte Nona e il monte Forato, è interessante, in bella vista, oltre a promettere impegno data la sua verticalità.
E' con questi presupposti che a fine settembre 2019, complici i postumi alla spalla sinistra causati da una brutta caduta in bicicletta, che non mi permettono di arrampicare e la conseguente rabbia da sfogare, ne approfitto andando a fare un giro fin sotto la parete per scrutare meglio la roccia e poter trovare la possibilità di tracciarvi un nuovo itinerario. Guarda e riguarda, ecco che nel suo settore sinistro mi cadono gli occhi lungo un’evidente linea di fessure. Eppure la parete l'ho guardata tante altre volte, ma queste fessure, così evidenti, come mai non le avevo viste? Strano come a volte non si riesce a vedere quello che si ha davanti agli occhi, poi d'un tratto ecco che tutto si rivela. Cambiano le situazioni? Cambia la   nostra capacità di visione, di lettura? Evidentemente si.
Decido di avvicinarmi il più possibile alla parete, ma il fitto bosco che ne ricopre lo zoccolo, mi impedisce di vedere la roccia. Devo trovare un punto di osservazione fuori dalla vegetazione, così poco prima di arrivare al bivio che sale alla foce di Petrosciana, prendo a destra il sentiero 109 che corre proprio sotto la parete dell'avancorpo e porta alla foce delle Porchette. Nella speranza di trovare un punto più accessibile per salire il ripido bosco che separa il sentiero dalla parete, trovo una evidente traccia di animali che sale obliqua verso sinistra, che percorro fino ad arrivare alla base di una specie di costola rocciosa che scende verso il basso, dove la vegetazione si dirada. Da qui ora si vede bene la linea di fessure che da la direttiva alla via. Questa costola, che incide il bosco basale, è ben visibile anche da lontano dalla strada poco dopo il parcheggio e dal sentiero poco prima di Fonte Moscoso.  Oltre ad essere un buon punto di riferimento per individuare l'attacco, è il modo migliore per raggiungerlo visto che fuori da questo avancorpo roccioso, il terreno anche se boscoso è ripido e franoso.
Appena mi sarò rimesso decido di provarci e, visto che da tempo mi frulla per la testa la malsana idea di aprire una via  in solitaria, ci faccio un pensierino. L'intenzione è di aprire la via usando solo materiale ad incastro e chiodi a fessura, insomma senza piantare spit, nemmeno alle soste. Così per non cadere in tentazione e bucare, non li metterò nemmeno nello zaino. Accantonata l'idea della solitaria, propongo ad Alessandro se vuole essere della partita in questa nuova avventura.  Alessandro   accetta entusiasta anche la mia proposta di non portare gli spit. Ancora non lo sappiamo, ma quando spunteremo sulla cengia presso l'attacco, avremo una sorpresa che ci lascerà, lì per lì, alquanto perplessi che non avremmo certo immaginato. La prima volta che ci portiamo all'attacco, pensando ingenuamente di renderci la cosa più semplice, evitiamo la costola rocciosa e risaliamo alla sua sinistra il ripido e franoso bosco. Dopo non poca fatica e aver rischiato l'osso del collo, a causa del terreno molto ripido e franoso, ecco che finalmente spunto sulla cengia alla base della placca compatta che preclude l'accesso alla linea delle fessure che salgono, quasi senza interruzione, fino al ciglio sommitale della parete. Alzo gli occhi e cosa ti vedo?... Una bella fila di vecchi chiodi anche a pressione, piantati a distanza ravvicinata, fanno bella mostra di se lungo la placca.
Chiamo Alessandro, che sempre sotto a lottare con la giungla verticale, non li ha certamente visti:
“Ale ci sono i chiodi!”
“cosa?”
“ci sono i chiodi”.
Una bella beffa... di chi saranno?
Qualcuno, parecchi anni fa è salito in artificiale. Vuoi vedere che la via c'è già?
In effetti le fessure sono belle evidenti e, a qualcuno, dotato di buon occhio, non gli erano sfuggite, ma non ne sapevo nulla. Guardiamo bene, in alto oltre l'ultimo chiodo, dal quale penzola una sbiadita e sfilacciata fettuccia, non si vede nulla. Siamo perplessi e delusi, soprattutto delusi.  
“Che si fa? “
“Oramai che siamo qui andiamo a vedere, al limite ci accontenteremo di una ripetizione”.
Magra consolazione.
Un po' in libera e un po' tirandomi ai chiodi, non è il momento di fare virtuosismi, arrivo all'ultimo ancoraggio costituito da due traballanti e arrugginiti chiodi, piantati in un buco a mò di sandwich con intorno una fettuccia tutta marcia.  Mi fermo a guardare, sopra nella fessura erbosa   non vedo altri chiodi. Metto un friend nella fessura e mi alzo per guardare meglio...non c'è niente. Bene magari è solo un tentativo... speranzoso proseguo. Prima di superare una insidiosa toppa erbosa, aggiungo un buon chiodo universale sulla destra della fessura e proseguo alcuni metri, aggiro a sinistra una scaglia con un arbusto e, in una rientranza attrezzo la sosta con due ottimi chiodi. Non c'è traccia di passaggio, anche sopra niente chiodi. Se qualcuno fosse arrivato qui, avrei trovato qualcosa, almeno per calarsi, invece niente...
” Si Ale per fortuna era solo un tentativo, evviva!”
Una volta attrezzata la sosta, con il cordino di servizio tiro su il sacco con il materiale, poi faccio salire Alessandro.
Non sarà il primo è ultimo tentativo, questa operazione di tirare su il saccone la ripeteremo varie volte, per finire la via ci serviranno ancora altri tre giorni di lavoro diluiti in circa dieci mesi tra: impegni vari, inverno, piogge e covid19 che ci costringe a stare chiusi a casa.  Al primo tentativo arriviamo a metà del secondo tiro. Superato lo strapiombo lascio due chiodi uniti da un cordino con moschettone  e mi faccio calare in sosta. La seconda volta siamo più produttivi e  arriviamo a metà del quarto tiro. Anche qui, stessa manovra, lascio due chiodi e mi faccio calare. Al terzo tentativo pensiamo di finire la via, invece riusciamo solo a finire il quarto tiro. Una volta attrezzata la sosta nella nicchia sotto la lama finale, complici la stanchezza e l'ora tarda per continuare, un po’ sconsolati scendiamo. Quando arrivo con la doppia alla cengia d’attacco, dove abbiamo lasciato  zaini e  scarpe, non trovo più le mie, eppure le avevo messe qui. Mi accorgo che sul materiale lasciato li c’è arrivata parecchia della roba che abbiamo disgaggiato, evidentemente, qualcosa di grosso che abbiamo buttato giù, deve avere  colpito le mie scarpe facendole ruzzolare giù per il ripido bosco. Che bischero e ora…? Come faccio? Le cerchiamo ma nulla da fare, non si trovano, vista l’ora tarda mi rassegno e con le scarpe d’arrampicata messe tipo ciabatta mi faccio tutta la camminata fino a ritornare alla macchina. Alla fine, dopo tanta fatica e lunga attesa,  il 4 luglio 2020 siamo  comodamente seduti sul terrazzo erboso in cima  al pilastro, stanchi ma soddisfatti, a farci i complimenti e a contemplare in lontananza l' azzurro del mare . Le maltrattate Apuane, “Le Montagne Irripetibili” (2)  ci regalano anche questo bel contrasto: mare e montagna.  Ci voleva proprio per risollevarsi da  questo lungo  cupo periodo e,  adesso, via verso nuove avventure.

1) Guida Cai-Touring Alpi Apuane 1979.
2) Le Montagne Irripetibili  di Giorgio Perna e Fabrizio Girolami.

CHE PASSA IL CONVENTO?
Itinerario di stampo classico dal tracciato logico ed evidente. A parte la placca iniziale e qualche altro tratto, si svolge lungo una serie quasi ininterrotta di fessure e lame. La via regala un'arrampicata mista libera e artificiale, piuttosto sostenuta di grande soddisfazione, disegnando una linea elegante senza forzature, perché come dice Stefano Santomaso, forte alpinista classico agordino: “ci siamo lasciati guidare verso l'alto dalla parete stessa... è bastato seguirla”.  A parte la placca iniziale, che abbiamo trovato attrezzata anche con alcuni chiodi a pressione, segno di un vecchio e misterioso tentativo (anni 60 o 70 ?), chiodi che abbiamo pensato di lasciare,   a testimonianza di chi ci aveva già provato, abbiamo deciso di proseguire attrezzando sia i tiri che le soste solamente con chiodi a fessura. Oltre ai chiodi, usati e lasciati, abbiamo integrato con friends di varie misure.
Vista la bella e quasi continua serie di fessure che caratterizza l'itinerario, abbiamo pensato di non usare gli spit, con la speranza che la roccia, fosse con noi generosa regalandoci la possibilità di portare a termine questa nostra ambizione senza forare. Non è stato facile, la roccia compatta di alcuni tratti ha reso difficoltosa una buona infissione dei chiodi nei piccoli buchi intasati dai ciuffetti d'erba. Alla fine la nostra tenacia è stata premiata e non è stato necessario bucare la roccia e la chiodatura è risultata di buona qualità. Riuscire a mettere un buon chiodo, non è solo un indicatore tecnico del proprio bagaglio personale,    è anche una soddisfazione che  riteniamo non secondaria a quella del puro gesto arrampicatorio. Lo so alcuni sorrideranno a questa affermazione, andare ad arrampicare portandosi dietro chiodi e martello è un po' passato di moda,  ma ognuno di noi ha le proprie manie, fissazioni. Qualcuno mi ha detto che attrezzando la via in questo modo, senza spit, avrà solo alcune ripetizioni e poi cadrà inevitabilmente nel dimenticatoio. Spero di no perché la via a noi sembra proprio bella,  oltre ad essere in un bel posto è anche bene attrezzata.
La roccia è buona, i brevi tratti friabili sono stati abbastanza ripuliti, le ripetizioni che seguiranno non potranno che migliorarne la qualità. Alcuni tratti saliti in apertura in artificiale, li abbiamo già liberati, gli altri   lo saranno sicuramente nelle future ripetizioni.
Cosa manca per dare completezza a una nuova via? Dargli un nome, che sia   significativo e rappresentativo dell'itinerario, cosa non sempre facile da attribuire. Quello che abbiamo scelto per questa via, è nato casualmente tra un tiro e l'altro e chiacchiere varie, al caldo sole rigeneratore di un bel sabato invernale alla cava rossa di Monsummano, quindi già in grande anticipo sulla data in cui la via è stata finita. Come si può facilmente intuire, il nome è legato al mistero dei chiodi trovati sul primo tiro. Mistero rimasto tale, avvolto nei densi vapori delle nebbiose leggende apuane.
E' bello che ci siano ancora leggende e misteri, che tutto non venga svelato. Perchè il mistero... alimenta il mito, “è nel mito che possiamo trovare il senso del nostro esistere e la risposta ai grandi perché della vita” (1)

1) Alla ricerca delle antiche sere  di Gian Piero Motti  1982.

PRIMI SALITORI
   Alberto Benassi - Alessandro Rossi 04/07/2020 dopo alcuni tentativi nei mesi di ottobre e novembre 2019.

RELAZIONE
DIFFICOLTA' V, VI, VI+,  A0 e A1
LUNGHEZZA
La via si sviluppa in 5 tiri di corda per una lunghezza di circa 120 metri a cui bisogna aggiungere   lo zoccolo di circa 60 metri di facile ma delicata arrampicata e ravanata per raggiungere la stretta cengia alla base della placca iniziale.

MATERIALE  

Oltre alla n.d.a. portare: 2 mezze corde da 50/60 mt., almeno 15 rinvii, una buona scelta di cordini per limitare gli attriti, almeno 1 staffa, martello e un piccolo assortimento di chiodi per ogni necessità, serie di friends Totem (oppure equivalenti Camalot) integrando con Camalot C4  n. 2 e n. 3.

AVVICINAMENTO
Dal parcheggio per l'accesso al rifugio Forte dei Marmi, raggiungere casa Giorgini e la successiva casa del Pittore (Montanina). Ignorare il bivio che a destra porta al rifugio Forte dei Marmi, proseguendo  a sinistra in direzione del monte Forato. Superata fonte Moscoso e  alcuni bivi, poco prima di arrivare alla marginetta dove si sale alla Foce di Petrosciana, prendere a destra il sentiero 109 che ritorna alla Foce delle Porchette e passa sotto la parete ovest dell'avancorpo del monte Croce.
Seguirlo per pochi minuti fino a reperire una traccia di animali (ometto) che sale verso sinistra nel bosco. Seguirla fino ad uscire dalla vegetazione arrivando alla base di una specie di costola rocciosa in vista della parete dove sale la via (questa costola rocciosa è visibile anche dal parcheggio). Non proseguire a sinistra nel bosco, ma salire prima dritti tra la vegetazione per le rocce superando un gradino. Obliquare a destra, quindi ancora dritti fino a reperire una cengia rocciosa (I° e II°). Non salire dritti ma andare a sinistra per la cengia (2 piccoli ometti) e appena rientrati nel bosco, salire di nuovo dritti per terreno ripido e passi verticali aiutandosi con le piante fino ad arrivare sulla stretta cengia alla base della parete dove si trova l'attacco presso una placca con vecchi chiodi a pressione segno di un “misterioso” tentativo. Ore 1.30 circa dal parcheggio.

DISCESA

Ci sono due possibilità:
- per i più comodi, in doppia dalla via, poi disarrampicando con attenzione il ripido bosco e le
 rocce che formano lo zoccolo (possibile doppia)  fino a riprendere la traccia che riporta al sentiero 109.
* prima doppia 20 mt.  alla sosta 4.
* seconda doppia 40 mt. fino alla nicchia della sosta 2.
* terza doppia fino a terra sulla cengetta di attacco.
- oppure per i più classici scendere a piedi, anche per gustarsi con maggiore completezza il rapporto con la montagna, godendosi un bel panorama e una rilassante camminata ristoratrice dopo le fatiche della parete  .  Una volta usciti risalire la costola erbosa a sx del canale, poi a destra  (tracce) quindi in verticale per pendio erboso  arrivando su un bellissimo e panoramico  pianoro in vista della cuspide del monte Croce. Obliquare   verso sud per prati fino a scendere nel bosco. Raggiunto il greto di un torrente, poco dopo  si  incontra il sentiero che scende dal monte Croce , subito prima della  suggestiva   gola dove il sentiero è attrezzato con catena  e con gradini intagliati.  In breve   alla foce delle Porchette.

RINGRAZIAMENTI
Ci sono alcune persone, che ci hanno aiutato in questa nostra piccola ma intensa avventura, che dobbiamo doverosamente ringraziare:
Mia moglie  Sabrina senza la quale sarebbe stata dura procurarsi tutti i bei luccicanti chiodoni che ci sono serviti per realizzare il nostro giochino.
L' amico Ciro Bambini che per ben due volte si è sciroppato peso e camminata, aiutandoci a portare il materiale all'attacco risparmiando a due “diversamente giovani” non poca fatica, oltre a farci anche diverse foto.
Il gentilissimo Eraldo Meraldi che ha messo a  disposizione la sua passione grafica nel disegnare il tracciato della via sulla foto, sua è l'idea del disco volante che fa capolino dalla cresta.

DESCRIZIONE
1° Tiro
Salire la bella e compatta placca seguendo la vecchia e misteriosa chiodatura, spostandosi a destra a prendere una fessura formata da una lama. Con passo atletico salire la lama, poi per delicato e fastidioso tratto erboso raggiungere   la sosta a sinistra di un alberello.
25 mt.  A0/A1, VI, VII-, A1, VI+ vari chiodi anche a pressione (trovati), friends e 1 ch. messo da noi prima del tratto erboso
Sosta attrezzata 3 chiodi.
Le tracce del misterioso tentativo si fermano ai due chiodi accoppiati subito prima della fessura.
2° Tiro
Spostarsi a sinistra (clessidra) salendo sotto lo strapiombo, superarlo per la sottile fessura che lo incide.
Seguire la fessura adesso più aperta e dopo aver superato il tratto dove questa si allarga, lasciarla spostandosi a sinistra superando un breve e verticale muretto entrando in una comoda nicchia dove si sosta.
25 mt.  V, A1, VI, V+, 1 clessidra e vari ch.
Sosta attrezzata 3 ch. cordone e moschettone.
3° Tiro
Uscire dalla nicchia a destra a riprendere la fessura. Superare un breve tratto aggettante con roccia dubbia per entrare in un diedrino. Prima dell’ultimo chiodo uscire a sinistra su placca arrivando su uno stretto terrazzino. Obliquare a sinistra sotto la compatta parete.  Sfruttando un piccolo buco sul compatto muro traversare a sinistra e, con un delicato passo in discesa, aggirare il bordo del muro arrivando alla sosta su piccolo ed esposto terrazzino.
20 mt. VI-, V, VI, chiodi e friends.
Sosta attrezzata 3 ch. con cordone e maglia rapida.
4° Tiro

Dritti sopra la sosta, poi a destra a prendere una fessura svasata  fin sotto uno strapiombo che si aggira a sinistra. Salire per roccia concava e strapiombante. Dove diventa fessura friabile, traversare a dx. su placca   a prendere il bordo rovescio di una bella fessura-lama orizzontale.
Con entusiasmante arrampicata seguire a destra la lama orizzontale che poi diventa verticale e porta alla sosta sotto ad un altro strapiombo formato da altra lama fessurata rovescia.
30 mt. chiodi e friends V+, VI+, A1, VII- , VI+, VI.  Allungare le protezioni.
Sosta attrezzata 3 ch. con cordone e maglia rapida, clessidra a sinistra con cordone.
5° Tiro
Seguire a destra con entusiasmate ed atletica arrampicata la lama rovescia uscendo dalla zona strapiombante. Superare un muretto uscendo a sinistra su terreno appoggiato facile con roccia delicata ed erbosa.  Traversare al diedro di sinistra, quindi di nuovo a destra a riprendere un canaletto con vegetazione uscendo su terrazzo alla sosta. 25 mt.  chiodi e friends, VI, VII-, V,  IV.
Sosta attrezzata 3 chiodi con cordone e moschettone nero.

Alberto Benassi, Alessandro Rossi
luglio 2020
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 E se fossero stati gli alieni
E se fossero stati gli alieni
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E se fossero stati gli alieni

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tOSCOCLIMB, di Toni Lonobile
in Collaborazione con A. Benassi, A. Rossi e Eraldo Meraldi

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